Secondo quanto riportano la Nazione e il Corriere dell’Umbria nelle edizioni odierne, una indossatrice è stata reintegrata dalla maison di moda Brunello Cucinelli dopo essere stata licenziata per giusta causa per furto. Pare che nei mesi scorsi la donna fosse stata segnalata da un collega per aver sottratto dal reparto modelleria un capo marchiato Ralph Lauren che era stato acquistato dalla ditta di Solomeo allo scopo di eseguire studi di mercato.
La donna, assunta a Solomeo una decina di anni fa, ha deciso però di rivolgersi al tribunale del lavoro mediante l’avvocato Giuseppe Caforio per difendere le proprie ragioni. In base alla sua versione il capo in questione non era quello di proprietà di Cucinelli bensì un indumento di marca Liquor N Poker (più economico) modificato dalla figlia diplomata all’istituto di moda per farlo somigliare, con tanto di etichetta, a un Ralph Lauren. La ditta invece sosteneva che il capo modificato era stato esibito proprio per dissimulare il furto dell’originale.
Tuttavia il giudice del lavoro Marco Medoro, sentite anche altre testimonianze, ha deciso che non ci sono prove dirette del furto né indizi concordanti. Per tali ragioni, sempre in base a quanto riportano i quotidiani, la Brunello Cucinelli ha dovuto riassumere l’indossatrice licenziata pagandole anche una indennità di oltre 19mila euro, per gli stipendi mancati.
commenti
Disi Anto
12 Febbraio 2019 at 21:15Come si fa a avviare un processo senza averne le prove…come se i giudici non avessero già abbastanza da fare…..
Cristiana Porticelli
14 Febbraio 2019 at 14:14solo in Italia si può denunciare chiunque per qualsiasi reato! Poi è il “chiunque” che a spese proprie deve dimostrare la sua innocenza!
Alessandra Frau
12 Febbraio 2019 at 18:48Francesco King Voice Remedia
Bruno Sambucari
12 Febbraio 2019 at 17:34Questa sentenza è una specie di affronto al Padreterno !
Sandro Viola
13 Febbraio 2019 at 22:18Bruno Sambucari al Re
Sandro Viola
14 Febbraio 2019 at 19:01Bruno Sambucari chissà I soldi che spenderà per avvocati per rigettarla la sentenza