Il buio fa paura. Ma solo a chi conosce la luce e non è costretto a viverci tutto il giorno, tutta la vita. Le persone cieche al buio fanno tutto, i “vedenti” quasi nulla. E allora perché non provare, almeno una volta, a sentire cosa si prova? Per esempio a mangiare al buio. Un intero pasto – dall’atto del sedersi a tavola fino al dessert – a luci spente, senza i led dei cellulari e senza nemmeno le lancette fluorescenti degli orologi.
È quanto hanno organizzato lo scorso fine settimana i volontari dell’OVUS Pubblica Assistenza in collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Perugia e con l’ospitalità della Filarmonica di Solomeo.
“Immersi nel buio più totale – recitava l’invito degli organizzatori – sarete accompagnati da un cameriere non vedente a godere delle pietanze tramite l’olfatto e il gusto, senza l’ausilio della vista. Un’esperienza nuova e diversa per entrare, con garbo, nel mondo di chi è cieco e cercare di uscirne più ricchi, comprensivi e attenti”.
Chi scrive ha partecipato con un gruppo di amici a uno di questi eventi e in effetti si può confermare come un’esperienza molto positiva, in cui sottraendoci banalmente alla luce guadagniamo qualcosa di inaspettato.
Non è, comunque, tanto facile quanto si potrebbe immaginare. Le reazioni sono le più disparate: dalla totale euforia al panico con il desiderio di voler andarsene via immediatamente. Per fortuna ci pensano gli organizzatori di Ovus e Unione Ciechi a mettere tutti a proprio agio. Fra le cose più buffe c’è l’utilizzo del tono della voce: le persone che vedono sono abituate ad alzarlo considerevolmente quando si trovano nel buio pesto. Tra un boccone e l’altro è facile quindi che volino degli “shhhhhhh” per richiamare tutti ad un volume più moderato.
Al buio si allentano anche i lacci del pudore. La conversazione diventa più spigliata vuoi per la situazione inedita, vuoi per l’assenza degli sguardi e del linguaggio non verbale.
Gli animi si avvicinano e gli spazi si dilatano; la percezione delle distanze si altera, tanto che quando l’esperienza finisce – e sulla tavola si accendono le candele per il ritorno alla luce – si resta sorpresi di come l’ambiente è fatto: diverso ai nostri occhi rispetto alla mappa che ci eravamo fatti nella mente.
Lorenzo G. Lotito
commenti
MorningChores
10 Marzo 2018 at 04:11Io, invece, voglio deviare un pò dal filo conduttore del post, pur restando in tema col rapporto “ciboe sensi. E per farlo vi racconto le mie esperienze di partecipante alle cene al buio organizzate da persone non-vedenti. Ovviamente si mangia in una sala completamente oscurata, buio più fitto, e non solo per un fattore di sensibilizzazione nei confronti dei non-vedenti, ma per provare sensazioni uniche nel loro genere, come scoprire quanto è diverso il sapore del cibo senza l’aggiunta “visiva”. E” un percorso, unico e stimolante nel suo genere, alla scoperta del cibo, dei sapori, e di noi stessi. Nel buio decade lo “strapotere” della vista perché si dà parola agli aspetti sonori, tattili ed olfattivi dell’esperienza. Vi posso assicurare, amici, che al buio si ha difficoltà a riconoscere un cibo da un altro, siano pure essi di uso comune e quotidiano. Io ho scoperto che, pur avendo cinque sensi tendiamo ad usarne appieno solo uno: la vista. Nell”insolita realtà dei non-vedenti, invece, tutti “guardano non con gli occhi ma col tatto, l’olfatto, l’udito. Ecco perchè sono convinta che, il più delle volte soprattutto quando siamo di fretta, noi mangiamo con la vista, per cui i colori, la disposizione dei cibi ecc..come descritto nel post, ci inducono a credere che siano più importanti del gusto vero e proprio.
Roberto Settonce
4 Marzo 2018 at 15:22questa è la foto delal cena?
Lorenzo Lotito
4 Marzo 2018 at 16:33si, non potevo usare il flash