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Cresce l’export del Made in Italy, CNA: “Bisogna puntare sull’artigianato”

sabato 23/07/16 ECONOMIA, GLOCAL 0 commenti

Cresce l’export del Made in Italy, CNA: “Bisogna puntare sull’artigianato”

cna exportTre miliardi e mezzo di euro. A tanto ammonta il valore dell’export delle imprese manifatturiere umbre, di cui circa il 70% è costituito dai settori del “made in Italy”, per la gran parte (84%) rappresentati da imprese al di sotto dei 10 addetti.
«Le politiche regionali devono essere indirizzate a sostenere e riqualificare le piccole imprese manifatturiere, in particolare quelle artigiane, che ancora oggi rappresentano una componente fondamentale del sistema manifatturiero umbro». Ad affermarlo è Francesco Vestrelli, responsabile regionale di Cna Produzione, nel corso della conferenza stampa con cui Cna Umbria ha presentato i risultati dell’indagine, condotta insieme al centro studi Sintesi, sulla relazione tra l’evoluzione delle imprese manifatturiere umbre negli anni della crisi e l’andamento delle esportazioni.

«Numeri alla mano – continua Roberta Datteri, imprenditrice e dirigente di Cna – mentre tra il 2009 e il 2015 il Pil regionale precipitava del 5%, l’export aumentava del 28% (+ 38% a prezzi correnti). Un export che è da attribuire quasi per intero alle imprese manifatturiere (3,5 miliardi di euro sui 3,6 totali delle esportazioni). Tra queste 7.800 imprese la parte del gigante la fanno i settori specializzati nel made in Italy, mentre emerge un forte ridimensionamento del peso della metallurgia. E se andiamo a spacchettare le aziende per numero di occupati vediamo che la maggior parte di esse sono micro imprese (da zero a 9 addetti), che da sole esprimono circa il 30% dell’occupazione in questi settori
La ricerca ha preso in esame l’agroalimentare, la moda, il sistema casa, i macchinari, i mezzi di trasporto e la carta-stampa, andando a verificare il rapporto tra imprese, addetti, mercati di riferimento e andamento delle esportazioni negli ultimi sei anni.

«I maggiori mercati di riferimento – afferma Alberto Cestari, del centro studi Sintesi – continuano a essere quelli dei Paesi dell’Unione europea (62% del totale) e l’America (13%), seguiti dai Paesi europei extra Ue (10%) e dall’Asia. Più distaccati ci sono l’Africa (3%), il Medio Oriente (3%) e l’Oceania (1%). Un aspetto molto interessante riguarda l’evoluzione delle imprese, che nel complesso sono diminuite di numero rispetto all’inizio della crisi, mentre il valore dell’export è aumentato: è così per il sistema moda (-10% di imprese, + 74% export), per i mezzi di trasporto (- 18% di imprese, + 140% export), per il sistema casa (-17% di imprese, +22% export), per i macchinari (-14% di imprese, +18% export). Fanno eccezione le imprese dell’agroalimentare, cresciute sia come numero (+5%) che come export (+59%)».

“Nonostante si sia verificata una diminuzione del numero delle imprese – prosegue Vestrelli – il peso percentuale dell’artigianato all’interno del “made in Italy” nel 2015 è pressoché analogo a quello del 2009, ìndice di una “crescita” delle imprese artigiane e di una rispecializzazione dei settori verso produzioni a maggior valore aggiunto. Lo dicevo in apertura: numeri alla mano, è chiaro che le piccole imprese ricoprono un ruolo fondamentale nelle produzioni del “made in Italy” dirette all’estero. Ecco perché chiediamo alla Regione che le risorse dei fondi strutturali e per le politiche di innovazione vengano destinate in misura consistente a questi settori, favorendo gli investimenti volti all’ammodernamento del patrimonio produttivo, alla digitalizzazione delle imprese artigiane, alla valorizzazione dei mestieri quale mezzo per creare occupazione, e infine all’internazionalizzazione.

A quest’ultimo proposito lamentiamo difficoltà nell’accesso a strumenti che pure avevamo concordato con la Regione. Non ha senso mettere in campo misure che poi vengono sistematicamente vanificate dalla burocrazia. Crediamo sia opportuno un ripensamento o un riallineamento tra strumenti ed esigenze delle imprese – conclude Francesco Vestrelli –, anche per non vanificare l’ottimo lavoro fatto in questi ultimi anni».
La conferenza stampa è stata conclusa dall’assessore Fabio Paparelli, che nel ricordare come la Regione Umbria stia scommettendo sugli assi strategici dell’internazionalizzazione, della ricerca, dell’innovazione e della sostenibilità territoriale, ha riconosciuto il ruolo svolto in questi anni dalla Cna nell’affiancare e sostenere le imprese nei loro processi di apertura verso i mercati esteri.

L’INDAGINE CNA IN PILLOLE

1. Tra il 2009 e il 2015 il Pil dell’Umbria diminuisce del 5%
2. Nell stesso periodo l’Export aumenta del 28% (per un totale di 3.6 miliardi di euro)
3. I settori del “made in Italy” rappresentano circa il 70% delle esportazioni
4. L’Agroalimentare è l’unico settore in cui all’incremento delle esportazioni (+59%) corrisponde un incremento del numero delle imprese (+5%)
5. Nei settori Moda, Casa, Macchinari, Mezzi di trasporto etc… all’incremento delle esportazioni corrisponde una diminuzione del numero totale delle imprese: ciò testimonia una ri-specializzazione produttiva del sistema imprenditoriale
6. Le imprese manifatturiere in Umbria sono 7.861 e l’Artigianato rappresenta il 69% delle imprese specializzate nel “made in Italy”
7. Gli addetti del manifatturiero sono in totale 58.840: di questi l’82% lavora nei settori “made in Italy”
8. Le micro imprese (meno di 10 addetti) esprimono quasi il 30% dell’occupazione nei settori “made in Italy”
9. I settori “made in Italy” che esportano di più sono
Tessile – Moda (oltre 647 milioni di euro)
Agroalimentare (oltre 433 milioni di euro)
Macchinari (oltre 790 milioni di euro)
Sistema casa (oltre 170 milioni di euro)
Mezzi di trasporto (oltre 212 milioni di euro)
10. I principali Paesi di destinazione dell’export umbro sono
Paesi UE (62%)
America (13%)
Paesi europei extra UE (10%)
Seguono Asia (8%), Africa (3%), Medio Oriente (3%) e Oceania (1%)

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